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Approfondimenti

E alla fine arrivō Ponyo

Qualcuno avverte: preparate i fazzoletti, Gake no ue no Ponyo (Ponyo sulla scogliera) sarà il film più commovente della carriera artistica di Hayao Miyazaki. Lui, il regista premio Oscar più amato nel mondo (e uno dei più “scaricati” da Internet), la sua parte l’ha già fatta versando doverose lacrime di commozione mentre l’amico Joe Hisaishi gli faceva ascoltare uno dei brani della colonna sonora, Himawari no ie no rondo, cantato dalla figlia di quest’ultimo Mai Fujisawa.
Persona complicatissima da decifrare (correte a leggere il lungo profilo che MAN·GA! gli ha dedicato su questo stesso numero), Miyazaki si è sempre tenuto alla larga da concessioni alla sua vita privata, comprese le memorie lontane dell’infanzia o dei giorni di praticantato presso Toei Doga. Invece oggi, alla soglia del suo quarantacinquesimo anno di onorata attività e al decimo film (in uscita in Giappone dal 19 luglio, in Europa occorrerà pazientare fino ad aprile 2009), qualcosa si è rotto nella sua imperscrutabile severità e nel rigoroso aplomb da maestro indiscusso del cinema animato tradizionale.
 
Tira vento forte al Ghibli
Mettere da parte i ricordi e le parti di sé che gli altri neanche dovrebbero conoscere facendole diventare materia per il cinema, beh questa è la grande sorpresa del Miyazaki di oggi, ma soprattutto del nuovissimo lavoro Ponyo, a torto indicato esclusivamente come una versione nipponica de La sirenetta mischiata alla leggenda di Urashima Taro. Davvero non crederete che il nostro regista preferito sia tanto sfacciato. Come i lavori del passato, anche la storia della creatura del mare che sogna di diventare umana ha ben altre radici etimologiche. Tutte piantate nel corpo di quell’ometto irresistibile, Miya-san, che in questo 2008 ha trovato il tempo e il modo di lavorare parecchio con la fantasia.
L’effetto è stato contagioso, riversandosi sullo Studio Ghibli dell’era Kouji Hoshino il nuovo direttore che arriva – indovinate un po’? – dalla Walt Disney Japan, senza essere ancora riuscito a cancellare l’ombra del precedente “mega direttore dei direttori” Toshio Suzuki. Quest’ultimo intanto in Ponyo si è assicurato un posto fra i produttori esecutivi della pellicola e, tra una puntata e l’altra del suo fortunato show radiofonico “Ghibli Asemamire”, ha trovato il tempo di volarsene a Los Angeles e mostrare un estratto del film per futura distribuzione americana, coinvolgendo nella promozione niente meno che Kathleen Kennedy e Frank Marshall, i due produttori che si sono fatti un nome lavorando accanto a Steven Spielberg. Non contento, di ritorno a casa Suzuki ha invitato in trasmissione un altro caro amico di Spielberg, George Lucas, parlando con lui di cinema di animazione prima ancora che della (ovvia) presentazione del film Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo.
Ma questo è nulla in confronto al fermento che si respira da quelle parti. Oltre alla produzione di film, cortometraggi e spot pubblicitari (l’ultimo è firmato da Osamu Tanabe, fidato assistente di Takahata, per la catena Lawson e tratta appunto Ponyo e i piccoli gadget ad esso ispirati), ora al Ghibli va di moda la distribuzione di pellicole di animazione non giapponesi. Ce n’è per tutti i palati: i nostalgici del passato (da Le Roi et l’Oiseau di Paul Grimault a La regina delle nevi di Lev Atamanov) e gli amici di amici nel ristretto circolo dei Maestri dell’arte animata, da Michel Ocelot al russo Alexander Petrov.
E siccome i veri divi di casa Ghibli sono loro, Takahata e Miyazaki, un’altra pensata ha trovato forma a partire dalla fine di giugno con la mostra espositiva Studio Ghibli Layout Design: Understanding the Secrets of Takahata/Miyazaki Animation, sorta di estensione analitica dei lavori del magico duo a uso e consumo degli sguardi dei fan.
Qualcosa di più tangibile risiede altrove, non molto lontano dallo studio, ed è firmato dallo stesso Miyazaki che in ricordo dell’amico Yoshiyuki Kondo ha fatto costruire una nursery ispirata al racconto I tre orsi.
Ma il bello arriva ora. A un mese esatto dall’uscita nei cinema giapponesi di Ponyo, il prode Suzuki era già in grado di rivelare il prossimo progetto dell’infaticabile Miya-san: una serie di cortometraggi destinati al Museo d’Arte Ghibli. Il soggetto? Due topolini che in mezzo al bosco si dilettano in incontri di sumo sotto lo sguardo divertito di un vecchio boscaiolo. I nipponisti più scatenati sono quindi partiti alla scoperta dei tanti racconti folkloristici locali che trattano l’argomento e il candidato ideale è stato Nezumi no sumo, nella versione di Shiro Fujimoto e Toshio Ozawa per l’editore Kupon. Staremo a vedere.
 
Ponyo sulla scogliera
Curioso come gira il mondo del cinema. Mentre Mamoru Oshii scopre finalmente l’estasi di librarsi in aria nel suo nuovo film The Sky Crawlers (atteso per il 2 agosto), Miyazaki si tuffa nelle profondità marine e inventa un mondo tutto nuovo, mai apparso prima nella sua filmografia, dedicandogli ben l’80 per cento delle scene. I primi trailer, quelli distribuiti nelle sale nipponiche e quello visto su NHK il 27 giugno, aprono scenari dell’immaginazione che ancora una volta confermano la straordinaria qualità dei film Ghibli. Se poi aggiungiamo il fatto che Miyazaki in persona ha deciso di animare il mare e le onde, il profilo estetico di Gake no ue no Ponyo ne esce valorizzato al massimo. Vedere per credere: del resto se un suo film non è affollato di presenze, di movimento e ariosa coralità, qualcosa non va. E anche Ponyo, giù nelle profondità cristalline, ha parecchio da dire e mostrare, a partire dal banco di meduse che accompagnano piano piano la protagonista in superficie.
Dall’altra parte del mondo, quella abitata dal piccolo Sosuke, ecco una delle grandiose novità annunciate del film: scenari e sfondi fatti con i pastelli, animati e in movimento (una passeggera folata di vento), che donano un tocco di magica poesia alla pellicola. Ma questa scelta del regista già si conosceva ai tempi della locandina ufficiale fatta circolare dallo studio. E con essa arriva anche il monito di un Miyazaki più che mai risoluto: niente utilizzo del computer in questo nuovo lavoro. Qualcosa di più che una sensazionale forma mentis dell’artista sessantasettenne. Piuttosto, una esibizione di sé come artigiano autentico tant’è che nelle numerose presentazioni ufficiali (il theme song del film, le interviste rese alla televisione di stato o in occasionali backstage) egli appare spesso con un inseparabile grembiale da lavoro.
 
Fino all’ultimissimo minuto, grazie a consolidata strategia di marketing che solo lì apprezzano, lo Studio Ghibli ha trattenuto per sé non solo la trama del film ma anche immagini e trailer, lasciando trapelare il minimo indispensabile attraverso il comunque loquace signor Suzuki o lasciando parlare le poche illustrazioni disegnate dallo stesso Miyazaki per riviste storiche come Yom. Se oggi sappiamo (e scriviamo) qualcosa di questo suo decimo film, lo dobbiamo all’unico – privilegiato – canale di informazione che arriva dal bravissimo Peter van der Lugt e dal suo sito Ghibliworld.com. All’interno del quale viene rilanciata addirittura una prima recensione al film, scritta da Hashimoto Atsushi nel suo blog personale, grazie a conoscenza diretta con alcuni membri dello Studio Ghibli che gli ha permesso di accedere alla proiezione riservata a un centinaio di pochi eletti: la tradizionale doppia proiezione per i dipendenti e amici dello studio.
La trama racconta dell’incontro fatale tra Ponyo, una pesciolina che se ne viene fuori dal mare, e il piccolo Sosuke, un bambino di cinque anni che vive in una casa sulla scogliera. Lui salva lei dal pericolo; lei in tutta risposta dichiara di essersi innamorata e di voler diventare umana. Il padre della pesciolina, Fujimoto, un tempo umano egli stesso, la riconduce a casa dove, con l’aiuto delle sorelle, Ponyo cercherà di conquistare la libertà ed esaudire il suo desiderio. Ma le forze della natura sono in agguato, pronte ad abbattersi sulla costa dove il piccolo Sosuke vive.
A questo punto ecco la manciata di informazioni a ritroso per riuscire a fornire di una qualche identità il film. Se l’instancabile Toshio Suzuki ha coniato la frase di lancio umarete kite yokatta (“sono fortunato a essere nato”), per il personaggio del piccolo Sosuke Miyazaki ha ammesso di aver pensato al figlio Goro, mentre il tanto chiacchierato rapporto tra una madre e il suo piccolo presente in Gake no ue no Ponyo sembra riallacciarsi come mai prima d’ora al rapporto fra il regista e la madre durante gli anni dell’infanzia, quando la donna era ricoverata in ospedale per una malattia senza cura. Un rapporto che non era passato inosservato negli altri suoi film, da Laputa a Totoro.
Trecento i giorni a disposizione dello staff per completare il film. Trecento giorni che sono anche serviti ai tipi di NHK Professional (seguitissima trasmissione giapponese fatta con camera a mano) per realizzare un ambizioso documentario sulla lavorazione del film, All about Miyazaki Hayao and the Birth of Ponyo in 300 Days, che mostrerà il volto vero del regista. Compreso quello facile alla commozione.
Per vederlo basterà sintonizzarsi il 5 agosto sulla rete di stato, nella speranza che diventi uno dei contenuti extra della futura edizione in dvd; mentre da queste parti c’è una diversa apprensione, visto che in molti si chiedono se Ponyo sarà invitato al prossimo Festival del Cinema di Venezia, dove Miyazaki è ormai di casa.
Marco Müller, pensaci tu.
 
© Nibariki - GNDDTM

 
 
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