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Osamu Dezaki

Il suo nome è una parte della storia degli anime giapponesi. Le sue opere occupano gli scaffali di videoteche e fumetterie, perfino Nelle edicole dove sta impazzando Una spada per Lady Oscar, il cartoon che ha affascinato un’intera generazione di spettatori. Sempre mosso da grande passione e innamorato della regia, Osamu Dezaki è atteso in questo 2008 di nuovo in televisione dove si occuperà della versione anime di Ultraviolet (il film con Milla Iovovich) e di un classico come Cobra, vestito a festa per il trentennale. (E a proposito di anniversari: il prossimo autunno saranno trent’anni dalla realizzazione di L’Isola del Tesoro)
Lo scorso 18 novembre 2007 inoltre ha compiuto gli anni. Sessantatre candeline per l’esattezza da spegnere ripensando a una vita vissuta intensamente (mai dire il contrario) all’insegna del disegno e dell’arte, senza pentimenti (almeno non così stringenti) e con ancora una immensa voglia a rimettersi in gioco, in barba alla massa di giovani animatori che ogni anno sgomitano per farsi notare. Il sogno di Osamu Dezaki, il grande festeggiato di queste colonne, è iniziato nei primi anni ‘60 e si è incrociato – per caso o per capriccio del destino – con l’anfitrione per eccellenza di manga e anime: Osamu Tezuka. E se oggi questo regista è degno di nota, lo è unicamente per la sua straordinaria capacità a realizzare opere di qualsiasi segno e genere, passando dal ladro Lupin III al dottore cinico di Black Jack. Fino a quel buffo personaggio sfacciatamente kawaii di nome Hamtaro.
 
Mi chiamo Dezaki e faccio il regista
Nato a Shinagawa, Tokyo, il 18 novembre 1943, Osamu Dezaki è considerato da molti come l’unico grande erede della tradizione animata concepita e portata sullo schermo da Tezuka se non altro perché gli anni della sua giovinezza artistica li trascorre proprio alla corte del “dio dei manga”, che dopo una breve parentesi collaborativa con Toei Doga si era gettato anima e corpo nell’industria dei cartoon fondando un suo studio, la Mushi Production, e dando vita al primo vero cartone animato per la televisione: Astro Boy (Tetsuwan Atom, 1963). Per dirla altrimenti: il passato di Dezaki, come quello di molti altri colleghi e veterani, inizia nel bianco e nero catodico più classico, magari ingenuo e sperimentale, giacché né il giovane animatore né il suo imponderabile Maestro ancora sapevano della formidabile ascesa dei toon giapponesi nella storia di quel Paese.
In Italia Osamu Dezaki è conosciuto come regista televisivo di razza, uno che – col senno di poi – gli appassionati di una stessa generazione ricordano di aver conosciuto nei giorni dell’infanzia, messa alle strette da personaggi come Rocky Joe, Remì, Jim, Lady Oscar. Serie televisive spesso drammatiche, ingigantite da un design ruvido e parecchio realista con una continuità narrativa molto simile a quella dei film o dei telefilm americani. Insomma si capiva bene che dietro c’era un serio professionista.
In Giappone invece, Dezaki (lo dice lui per primo) non è conosciuto e seguito con la medesima passione. È uno che lavora nell’industria da oltre quarant’anni, appassionato cultore di cinema (dai classici del Neorealismo come Ladri di biciclette ai più fracassoni blockbuster hollywoodiani) e di letteratura, un signore dai capelli neri e occhiali rayban che incute simpatia e severità al tempo stesso. Uno che, come ama ripetere, non ha mai infilato un grande successo cinematografico al botteghino da sistemargli per sempre la vita. Fintantoché c’è da scherzarci sopra, tutto okay, eppure il regista quando si fa serio non manca di sottolineare e spiegare quanto difficile e a senso unico sia la carriera di un animatore. Di sicuro ha le idee molto chiare. Uscito dalla scuola superiore con il desiderio di affermarsi come fumettista (indovinate seguendo le orme di chi?) a soli vent’anni entra a far parte della ciurma di giovani animatori della Mushi arrivando a dirigere e supervisionare in tempi record già dal 1968 opere importanti e popolari come Astro Boy e The Monkey (Goku no daiboken). A neanche trent’anni fonda con alcuni amici e colleghi lo studio Madhouse. Siamo nel 1972 e il cammino di questo artista è appena agli inizi.
 
Imparare i trucchi del mestiere con il Maestro
La prima cosa che Dezaki impara ad affrontare nel mondo dell’animazione è un sovraccarico di lavoro: Tezuka è anche quel tizio che, per la cronaca, oltre ad aver “inventato” il primo cartoon per la televisione con qualità sorprendente per l’epoca, continuava a lavorare da instancabile disegnatore di fumetti. Nessuno lo ferma, neanche crisi e indebitamenti. Come per il Maestro anche la filmografia di Osamu Dezaki è una pagina piena e ricca di sregolatezze, segno che un contagio di sicuro c’è stato. Lavorare fianco a fianco con l’idolo dell’infanzia e mettere mano proprio alle opere lette da ragazzino è uno di quei privilegi che davvero capitano a ben pochi.
Da lettore di Astro Boy egli si ritrova dall’oggi al domani a lavorare in alcuni episodi della serie, collaborando ad altri progetti come Shin Takarajima (1965, lo special Tv tratto dal romanzo L’Isola del Tesoro di Robert Louis Stevenson, ma con animali) o Big X (1965): tutti lavori rigorosamente in bianco e nero. Sembra facile, e invece ci sono scalette rigide da rispettare e un ego artistico piuttosto invadente che occorre tenere a freno. Del resto è proprio in quegli anni che propone un suo fumetto sulla rivista sperimentale COM. E come per diversi altri celebri animatori anche Dezaki ha la fortuna di incontrare sulla sua strada colleghi e amici che stringeranno con lui un sodalizio professionale unico e indissolubile: Akio Sugino, il disegnatore che firmerà tra i più riusciti character design dell’universo anime. Nel 1967 finalmente debutta nella regia di alcuni episodi televisivi, dopo aver variamente collaborato come supervisore della continuity narrativa o disegnando image board di riferimento per il lavoro altrui. Senza pensarci troppo Tezuka gli affida la regia di due storici programmi televisivi: Dororo, serie in bianco e nero basata sul suo fumetto di cui realizzerà gli episodi 1, 6 e 11 e il divertente The Monkey per il quale firmerà otto puntate, compresa la puntata pilota.
 
E quindi venne il pugile Joe Yabuki
Quando gli chiedono chi altro oltre Tezuka rientra nel suo dream team, Dezaki non ha esitazioni: Tetsuya Chiba, il disegnatore di fumetti che onorerà in due occasioni. Nel primo caso con l’inedito Kunimatsu-sama no Otoridai (1971), un serial per ragazzini dall’aria innocente; nell’altro con un titolo di futuro culto per tutti gli anni ‘70, capace di diventare un genere a sé stante nel firmamento animato nipponico: Rocky Joe. L’occasione arriva grazie a Mushi Production che è chiamata a occuparsi della realizzazione della prima stagione e Dezaki (autore del primo episodio) dividerà la scena assieme ad artisti non ancora celebri come Yoshiyuki Tomino, uno dei creatori di Gundam che si stava facendo le ossa come sceneggiatore.
La storia del giovane orfano Jo Yabuki ha poco in comune con le zuccherose storie per bambini di quegli anni. Parla un linguaggio crudo e si presenta al pubblico con un tratto molto marcato, portandosi dietro un bagaglio di temi e ideologie parecchio adulto: il disagio giovanile, la galera, la boxe come mezzo di sopravvivenza sono soltanto alcuni degli argomenti che scivoleranno nella vita del protagonista. Neanche un decennio più tardi, quando a prendere le redini produttive arriverà Tokyo Movie Shinsha, Dezaki è subito invitato a occuparsi della seconda serie che, sotto la sua direzione, acquisterà un’identità più drammatica ancora in cui si affaccerà senza troppi scrupoli la presenza della morte. Il completamento di quella esperienza per il regista avrà la forma di un bellissimo film prodotto nel 1981 che metterà ufficialmente la parola fine alla tormentata carriera del pugile Yabuki, lasciando comunque in Dezaki un vuoto, come avrà modo di ripetere spesso, e cioè la mancata possibilità di affrontare l’infanzia di questo storico personaggio prima degli eventi rappresentati dal fumetto di Chiba.
 
Parole d’ordine: lacrime e sudore
Nella sterminata filmografia d’autore emergono ruoli più o meno importanti in una miriade di prodotti realizzati quasi tutti per Tokyo Movie Shinsha, la società in cui passa a lavorare anche dopo aver fondato assieme a Masao Maruyama e Rintaro lo studio Madhouse. È un periodo di grande fermento per l’industria animata e gli incarichi, soprattutto in veste di supervisore, sono numerosissimi. Ma negli anni ‘70 Osamu Dezaki – che è ormai riconosciuto professionista – vuol dire essenzialmente due cose: shojo manga e classici letterari portati sul piccolo schermo. Nel 1973 accetta di dirigere Jenny la tennista (Ace o nerae!) dal fumetto di Sumika Yamamoto, lui che era a bocca asciutta quanto a letture per ragazze. Per l’occasione si rimbocca le maniche e si mette a leggere tutti i volumi a disposizione e realizza un anime (cui farà ritorno altre due volte: con un film nel ‘79 e la serie di Oav Jenny Jenny nel 1988) che appassiona per l’indiscusso climax narrativo.
Il giro di vite lo darà soltanto nel 1980 quando TMS gli propone di sostituire Tadao Nagahama nella regia di Una spada per Lady Oscar (Versailles no bara), il serial sulla Rivoluzione Francese tratto dal manga di Riyoko Ikeda. Al suo fianco non c’è il fidato Akio Sugino, bensì la coppia Shingo Araki/Michi Himeno e li invita a ripensare i tratti dei personaggi perfezionando le animazioni. Con il suo arrivo Berubara (il nomignolo caro alle fan della serie) passa a tutt’altro regime e pur non ottenendo subito il successo di pubblico sperato entrerà nell’olimpo dei titoli di culto. Con la Ikeda il regista si confronterà un’ultima volta nel 1991 grazie alla bellissima serie Caro fratello, altro popolare successo anche in Italia. Qualche attimo prima però Dezaki aveva sorpreso tutti realizzando un lacrimoso e tragico Remì (1977), dal romanzo di Hector Malot, ed era riuscito a coronare uno dei sogni della sua vita: adattare per la televisione nientemeno che L’Isola del Tesoro di Robert Louis Stevenson ma questa volta senza ironia come ai tempi di Shin Takarajima (dove i personaggi erano tutti animali antropomorfi). Ciascuno a modo suo, quei cartoon a immortalare una faccia tutta nuova dell’animazione.
 
Partenza per gli USA e ritorno con Rumiko Takahashi
Colpo di scena. Dopo aver diretto due tra i migliori lungometraggi animati degli anni ‘80, Cobra dal manga di Buichi Terasawa e il cupo Golgo 13 da Takao Saito, Osamu Dezaki viene spedito negli States dalla TMS (forse anche per via della sua fugace collaborazione al secondo progetto del Little Nemo voluto dallo studio e dai partner americani) per lavorare ad alcuni progetti che avevano il preciso scopo di far conoscere il nome dell’azienda sul mercato USA (manovra peraltro riuscitissima). È il presidente della compagnia, il defunto Yutaka Fujioka, a convincerlo a partire sulla falsariga di importare la cultura dei fortunatissimi robot della tradizione animata giapponese, che non conoscevano in Occidente analogo seguito. Il più importante lavoro della trasferta di Dezaki si intitola The Mighty Orbots (1986), cartoon praticamente tutto nipponico: «Quasi per intero lo staff era formato dalla mia squadra», ricorda in un’intervista il regista. «I nostri colleghi stranieri avevano ideato lo script, ma le sceneggiature alla fine le scrivevamo noi. Durante la lavorazione gli americani ci presentarono diversi storyboard su cui lavorare ma pure quelli fummo costretti a rifarli. L’idea del presidente era di vendere un prodotto robotico come non se ne era mai visto prima negli States. Parlo di una co-produzione di soli tredici episodi ma è come se fosse stata sempre e comunque nelle mani dello staff giapponese». Non si tratta di una totale perdita di tempo, ammetterà in seguito il regista lasciandosi unicamente scappare una piccola confessione, e cioè che in patria gli adorati cartoon stavano chiaramente passando un periodo non esaltante. Una volta rientrato a Tokyo accetta di firmare l’Oav One Pound Gospel (1988) basato sul popolare manga di Rumiko Takahashi. Dice di sì perché la storia del pugile e della suora lo elettrizza, ma per farlo gli tocca ricorrere a uno pseudonimo (Makura Saki) in quanto legato contrattualmente ad altra società. Per questo lavoro riceverà addirittura i complimenti della disegnatrice, senza peraltro incontrarla mai.
 
Vecchie glorie da resuscitare
Tornare a casa per Dezaki significa anche fare i conti con la propria professione. E decidere non soltanto su quali progetti imbarcarsi ma anche come affrontare l’evidente competizione con gli animatori emergenti. La scelta è sorprendente: da un lato ripiega nel passato con Lupin III sul quale lavorerà come autore e supervisore dei copioni di quasi tutti gli special televisivi prodotti dal 1989 a oggi (e i risultati sullo schermo da principio saranno altalenanti); dall’altro si ingegna a dare vita a uno degli storici personaggi tezukiani, il dottor Black Jack, che non era mai riuscito a risplendere di luce propria, tranne in sporadiche apparizioni in film come L’espresso sottomarino e L’uccello di fuoco 2772. È il colpo da maestro tanto atteso. Con il sostegno di Tezuka Productions e Shochiku progetta una serie di 12 Oav che debutta nel 1993 guadagnandosi il plauso della critica e un successo internazionale senza precedenti (nel ’96 firmerà anche un film, La sindrome di Moira, che farà il giro dei festival di mezzo mondo). Ogni episodio viene indicato come “cartella clinica” (in originale: karte) e per il protagonista si tramuta in una sfida contro i suoi limiti di medico e uomo. Il realismo che si porta dietro, grazie al sofisticato design creato da Sugino, è sorprendente e per colpire nel segno Dezaki chiede perfino la consulenza di un esperto. L’operazione Black Jack sarà anche l’inizio di una lunga serie di progetti volti a omaggiare il nome di Osamu Tezuka.  
Nel frattempo il Nostro realizza un altro dei suoi sogni tornando alle serie Tv con Hakugei Densetsu (La leggenda di Moby Dick, 1997), un classico della letteratura tratto da Herman Melville (scrittore che adora) prodotto dopo tante rinunce. Soltanto, questa volta si concede il lusso di sperimentare di più rispetto al passato e ambienta la vicenda del Capitan Achab nel futuro con il fedele Sugino a elaborare personaggi e animazioni, va detto, meno eleganti del solito. Dei 39 episodi preventivati, il produttore Tetsuo Katayama gliene accorda 26. Quasi a non voler distaccarsi del tutto dal suo passato, nel 1998 torna a occuparsi di Golgo 13 con un Oav dal titolo Queen Bee in cui sesso e violenza sono due componenti inscindibili. Per sorprendere il suo pubblico abituale, dal killer di Takao Saito passa nel 2001 alla regia di due film ispirati alla serie più popolare e cool del momento: Hamtaro. Roba per bambini. Un abisso colossale che riflette la carriera ondivaga di Dezaki. Non a caso quattro anni più tardi torna nuovamente alla corte di una serie Tv per la rete di stato NHK con un racconto di Hans Christian Andersen: Yuki no joo (La regina delle nevi, 2006) dove sembra riecheggiare lo stile dei programmi realizzati trent’anni prima grazie al tratto delicato di Akio Sugino. Per l’ennesima volta, il regista si scopre grande intrattenitore e nei 36 episodi di cui si compone la serie racconta al suo pubblico l’avventura di Kay e Gerda mentre affrontano la glaciale e affascinante Regina delle Nevi lontano dal loro villaggio.
E pensare che neanche un anno prima Dezaki aveva diretto il film Air (2005) tratto da un popolare game per adulti. Ennesima manifestazione artistica di un uomo seriamente innamorato dei disegni animati che nessuno riesce a tenere a freno.
 
Akio Sugino, amico inseparabile
Arriva da una famiglia numerosa e inizia ad appassionarsi al disegno quando frequenta la scuola elementare, Akio Sugino, nato nei primi anni ‘40. Inizia a proporsi come disegnatore di fumetti prima di entrare alla Mushi Production di Tezuka dove conosce Osamu Dezaki, stringendo con lui una forte amicizia che lo porterà a diventare il suo più stretto collaboratore (assieme allo storico direttore della fotografia di tante produzioni Tokyo Movie Shinsha: Hirokata Takahashi). Debutta nell’animazione con Kimba il leone bianco (1965) e attraversa in grande stile quarant’anni di produzioni equamente divise tra opere per adulti e bambini. Oltre ad aver seguito Dezaki nelle sue imprese, Sugino parteciperà a serie come La Stella della Senna (1975), Peline Story (1978), Tom Sawyer (1980), Occhi di gatto (1984) e il nuovo film Jungle Taitei (1997). Grande ammiratore di Tetsuya Chiba e Akira Kurosawa, il disegnatore è diventato celebre per il suo tratto deciso e poetico, duro e realista prestatogli dai fumetti di Riyoko Ikeda (Caro fratello), Sumika Yamamoto (Jenny la tennista) e Mitsuteru Yokoyama (Super Robot 28). Una delle sue creazioni più originali è l’ideazione dei personaggi di Le avventure di Marco Polo (1979), l’anime che segna l’ingresso di Madhouse nella produzione televisiva. 
 
Lady Oscar: © Riyoko Ikeda – TMS All Rights Reserved
L’Isola del tesoro: © TMS All Rights Reserved
Ultraviolet Code 044: © Madhouse/Sony Pictures Entertainment
Black Jack: © Tezuka Productions
Rocky Joe: © Asao Takamori – Tetsuya Chiba/Mushi Productions
Jenny la tennista: © Sumika Yamamoto/TMS
Lupin III – Il mistero delle carte di Hemingway: © Monkey Punch All rights reserved ©TMS All rights reserved Under License to YAMATO S.r.l. Produced by TMS ENTERTAINMENT, LTD.
 
Filmografia
 
1963
Astro Boy (Tetsuwan Atom, TV, ep. 112, 132, 143, 175)
1964
Big X (id., TV)
1965
Shin Takarajima (id., special TV) 1967
The Monkey (Goku no daiboken, TV, ep. 1, 4, 6, 12, 14, 20, 29, 35) 1968
Dororo (id., TV, episodi 1, 6, 11)
Wanpaku Tanteidan (id., TV, ep. 4, 9, 16, 21, 26, 33) 1969
Moomin (id., TV)
Le Mille e una notte (Sen’ya Ichiya Monogatari, Film)
1970
Rocky Joe (Ashita no Jo, TV, episodio 1, DVD)
1971
Kunimatsu-sama no Otoridai (id., TV, dal fumetto di Tetsuya Chiba) Andersen Monogatari (id., TV)
1972
Akado Suzunosuke (id., TV)
Shin Moomin (id., TV)
Hazedon (id., TV)
1973
Jungle Kurobe (id., TV)
Kanashimi no Belladonna (id., Film, collaborazione)
Jenny la tennista (Ace o nerae!, TV, DVD)
Karate Baka Ichiyo (id., TV)
Samurai Giants (id., TV)
1974
Hajime Ningen Giatrus (id., TV)
1975
Ganba no boken (id., TV)
Ganso Tensai Bakabon (id., TV)
1976
Manga Sekai Mukashibanashi (id., TV) 1977
Jetter Mars (id., TV)
Remì (Ienaki Ko Remi, TV, DVD)
1978
L’Isola del Tesoro (Takarajima, TV, DVD)
1979
Una spada per Lady Oscar (Versailles no bara, TV, DVD)
Jenny la tennista (Ace o nerae!, Film, DVD)
1980
Rocky Joe il campione (Ashita no Jo, TV, DVD)
Bocchan (id., special TV)
1981
Rocky Joe: L’ultimo round (Ashita no Jo 2, Film, DVD)
1982
Cobra (id., Film)
1983
Golgo 13 (id., Film) 1984
Bokensha-tachi to 7 yon Nakama (id., Film, supervisione) 1985
Mighty Orbots (id., TV)
1986
Sweet Sea (id., Film, supervisione)
1988
One Pound Gospel (1 Pound no Fukuin, OAV)
Jenny Jenny (Ace o nerae! 2, OAV)
1989
Kasei Yakyoku (id., OAV, supervisione)
Lupin III – Il virus Beta (Rupan Sansei: bye bye liberty – Kiki Ippatsu, special TV, DVD)
Jenny Jenny (Ace o nerae! Final Stage, OAV)
1990
Lupin III – Le carte di Hemingway (Rupan Sansei: Hemingway paper no nazo, special TV, DVD)
Shuranosuke (Shuranosuke zanmaken, OAV, supervisione, DVD)
1991
Caro fratello… (Onisama e…, TV, DVD)
Soryuden (id., OAV)
Lupin III – Il tesoro degli avi (Rupan Sansei: Napoleon no jisho o ubae, special TV, DVD)
1992
Lupin III – Il tesoro degli Zar (Rupan Sansei: Roshia yori ai wo comete, special TV, DVD)
Takarajima Memorial: Yunagi to yobareta otoko (id., OAV)
1993
Black Jack (id., OAV)
1995
Lupin III – Caccia al tesoro di Harimao (Rupan Sansei: Harimao no Zaiho o oe!, special TV, DVD)
1996
Black Jack – La sindrome di Moira (Black Jack – The movie, Film) 1997
In the Beginning (Seisho Monogatari, TV, supervisione)
Hakugei Densetsu (id., TV)
1998
Golgo 13: Queen Bee (id., OAV)
2001
Tottoko Hamtaro: Ham Ham Ham~Jya! Maboroshi no Princess (id., Film)
2002
Tottoko Hamtaro: Hamtaro to Fushigi no Oni no Eonto (id., Film)
2004
Air (id., Film)
2005
The Snow Queen (Yuki no Joo, TV)
2007
Clannad (id., film)
2008
Ultraviolet Code 044 (id., TV)  
Cobra The Animation (id., TV)
 
 

 
 
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