L’inizio è dei più stravaganti: un mondo di umani dove le epoche vivono sovrapposte. Abiti ottocenteschi, un esotico borgo francese, ma qua e là telefoni, trenini, usanze di oggi o dell’altro ieri. E poi il colpo di scena, una gattina che se ne va in giro parlando alla gente chiedendo di una misteriosa “ragazza dei fiori”. Impossibile restare con i piedi a terra dopo aver sentito tutta la storia: la ragazza in questione è l’ultima discendente di una stirpe del Regno dei Fiori che ha abitato il pianeta in armonia e pace prima del ritiro su una stella lontana a causa del cinico distacco degli uomini dai valori della natura e dei sentimenti. Ora però c’è bisogno di lei, per poter cercare il favoloso “fiore dai sette colori” che consentirà al figlio del sovrano di succedergli sul trono. Ci vuole un po’, ma la misteriosa ragazzina si fa presto a trovarla. È Lulù (in originale Lun Lun), una biondina da urlo che vive con i nonni e che all’inizio di questa storia scopriamo a giocare mascherata da ragazzo. La gattina di qualche riga più in su la trova in compagnia di Dundun, cagnone parlante e suo collega di trasferta terrestre, e non ci sono esitazioni che tengano: sono tutti pronti a partire alla ricerca di questo leggendario fiore. Ma il trio non è solo. C’è un affascinante e misterioso ragazzo con lo zaino sulle spalle, sempre in viaggio, che sembra scortare Lulù nella missione; e ci sono anche Togenisha e Yaboki, improbabile coppia di nemici che su quel fiore vogliono mettere le mani per usurpare il trono del Regno dei Fiori. Il tesoro alla fine si troverà in un luogo insospettabile (ma non vi diciamo quale) e la storia si chiuderà con un romantico happy end (che forse già sospettate).

 

C’è tutta una tradizione Toei Animation in materia di maghette che ha fatto scuola e creato proselitismo nel mondo degli anime e dei manga. La parola “maho” è col tempo diventata ambasciatrice di due correnti di pensiero: maghette di origine terrestre e di provenienza extraterrestre (solitamente regni di altre stelle). La magia, un dono acquisito o retaggio genetico. Sempre e comunque al servizio del bene e degli altri. E da Sally la maga (1966) in su questa materia si è resa esclusiva proprietà del pubblico femminile per riviste di shojo manga, sublimando sul proprio corpo evoluzioni e assestamenti tali da rendere le protagoniste di questi lavori simboli perfetti dell’industria dello spettacolo (a un punto tale che una delle più famose, Creamy, diventerà anche idolo pop).

Lulù l’angelo dei fiori nasce da un’idea di Shiro Jinbo e viene portata sul piccolo schermo nel 1979 da Hiroshi Shidara, che con Yugo Serikawa negli anni ’70 era uno dei più attivi e quotati registi di cartoon giapponesi. A distanza si può interpellare quel Bia, la sfida della magia (1974) che Serikawa diresse per Toei e che in Lulù lascia un marchio di riconoscimento nel personaggio di Togenisha, tanto simile a Noa – l’amica/nemica della protagonista. Sia chiaro, la ricetta non cambia molto e va ben al di là di vaghe somiglianze fra personaggi: l’eroina deve sempre intraprendere un viaggio interiore ed esteriore per mettersi in gioco, magari aiutata da valide spalle, e portare a termine una missione in un territorio estraneo a quello domestico. L’invadenza degli arcinemici – a tratti comica – è l’altra faccia della medaglia per assicurare il giusto esercizio alla parola avventura. Altrimenti, sai che noia. Ciliegina sulla torta, un altruistico flusso di azioni e sentimenti che corrono in soccorso del genere umano (povero lui), in difetto di emozioni vere e palpitanti e bisognoso di magici ricorsi per rendersi improvvisamente felice.

Nella fattispecie, la nostra Lulù con la spilla magica che le viene donata dagli amici Nana e Dundun, può trasformarsi e cambiare d’abito al momento più strategico aiutando chiunque. A fare la differenza, semmai, la presenza sul campo del misterioso ragazzo che alla fine di ogni episodio dona semi di fiori da far sbocciare in un caleidoscopio di significati e contribuire così alla ricerca del fiore leggendario.

Per entrarne in possesso, alla protagonista occorreranno 50 episodi. In tutto questo tempo gli occhioni poetici e azzurri della Himeno hanno contribuito a far sobbalzare il cuore degli spettatori perché, si sa, ciò che nasce shojo non necessariamente sullo schermo finisce per piacere a un pubblico soltanto.

E alla Toei Animation lo avevano capito da parecchio tempo. 

 

di Mario A. Rumor

 

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