Editoriale - agosto 2010
Satoshi Kon non cč pių
Tutti ad attendere il suo nuovo film, e pochi sapevano che il destino aveva riservato qualcosa di diverso al regista animatore Satoshi Kon. Nel giro di poche ore la notizia della sua morte, un cancro al pancreas, ha fatto il giro del web e unito nel cordoglio centinaia di migliaia di fan sparsi per il globo. Tutti coloro che, appunto, attendevano il nuovo film già per il 2009 e che la malattia ha invece procrastinato. Ma anche coloro che avevano davvero amato e parteggiato per questo giovane artista di appena 47 anni che nel cinema di animazione era entrato dalla porta principale diventando in breve un Autore – con la maiuscola. Diremo: seguito quasi dal principio.
Perché Kon era autore per tutte le stagioni. C’è chi si è lasciato conquistare dal clima entusiasticamente thrilling di Perfect Blue; chi ha ceduto alla commozione davanti al capolavoro Millennium Actress o ammirato il magnifico trio di personaggi in Tokyo Godfathers; chi ha accettato la sfida del surreale ed è penetrato nel “suo” mondo onirico anche solo guardando Paprika – Sognando un sogno; chi infine ha capito che Kon aveva stoffa da vendere perfino sul piccolo schermo per il quale aveva realizzato Paranoia Agent. Che ingiusta la vita quando ti porta via un sorriso tanto contagioso come quello di Kon, e ogni briciola del suo immenso talento. Ovvio. Perché uno come lui difficilmente nasce due volte. Lo sanno bene i colleghi increduli che, nel mare informatico, non nascondono l’incredulità e lo stupore di fronte a una tale perdita.
Che rabbia la morte quando ti sottrae un amico dell’animazione (e del buon fumetto) con così tanto ancora da condividere. Satoshi Kon non era l’altezzoso autore che se la tirava, visto il successo internazionale e il fatto – molto umano – di sapere di essere uno in gamba. Quando lo sbirciavi in giro per festival o davanti a platee entusiaste, il suo era lo sguardo eccitato di chi amava condividere una medesima passione con il pubblico.
La sua ricetta era di una semplicità disarmante: regalare scintille cinefile, raccontare una storia, realizzare un film con pochissimi soldi, arrivare là dove nessun altro era mai stato. Qualcuno la chiama la modernità degli anime – per tipi come Koji Morimoto, Masaaki Yuasa, Makoto Shinkai. E invece si è trattato della storia di un giovanotto come tanti che un bel giorno ha deciso di fare fumetti. E siccome non gli bastava, di buttarsi anche nell’animazione. Inventandosi regista di una signorilità inconsueta e fregandosene di quelle odiose circostanze (incassi, otaku da blandire, marketing) che calzano bene ad altri ma non a lui.
Che ingiusta la vita, quando ti fa sentire un poco più solo in quel mondo così spazioso e colorato che è l’animazione.
Adieu, Satoshi-san.