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News - aprile 2011

Greatest Hits, ricordando Osamu Dezaki

Oddio, e adesso che si fa? Della morte di Dezaki vengo a sapere da mia sorella via skype che mi dice qualcosa tipo: “E’ morto Tezaki, Tezuki… non lo sai?”. Siccome non conosco registi o animatori o disegnatori con quel nome, faccio fatica a focalizzare e capisco che l’animazione giapponese evidentemente non è il suo forte. “Ma sì, il regista di Lady Oscar… c’era anche sul giornale”, aggiunge. Cacchio. Ora ho capito. Come durante una seduta dallo strizzacervelli, ecco le prime cose che uno ha in mente quando gli viene chiesto: rivedo Dezaki con l’inseparabile sigaretta in bocca (e che di questo è morto lo leggerò qualche minuto più tardi); e penso cinicamente all’intervista che dovevo concordare con lui e che non si farà più, perché uno ritiene che certe persone siano eterne. Gli artisti che ci stanno più a cuore ovviamente sono mortali come chiunque altro, solo i più fortunati possono vantare gloria eterna attraverso le proprie opere (film, libri, quadri, musica, fumetti). Dezaki faceva parte del club. Immagino soprattutto quanto gli scoccerà a Osamu Tezuka, il suo grande mentore e maestro, di ritrovarselo fra le nuvole con tutto quello che Dezaki ancora aveva da fare sul pianeta Terra. È anche vero che ultimamente le cose davvero entusiasmanti latitavano per lui, i bei vecchi tempi degli anni Settanta estinti e surclassati da una progenie di serie animate che, o tentano di stabilizzarsi sui ricordi (vedi il nuovo Cobra The Animation) o si adagiano sulla pressante richiesta di un pubblico annoiato e poco incline a vero entusiasmo. Dezaki era il tipo da perplessità congenita per opere del genere. Lui osava, disfaceva, rimetteva ordine portando avanti una sua idea di cinema che, per non tradire l’assolutismo di certi Autori, attingeva alla sua formidabile cultura. Osamu Dezaki è stato disegnatore quel poco che è servito ad avvicinarlo al “dio dei manga” Tezuka per quindi intraprendere una meravigliosa carriera in Mushi Productions (Rocky Joe) quindi in Tokyo Movie Shinsha e infine in Tezuka Production, passando per attività a latere presso lo studio Madhouse (che aiutò a fondare nel ’78) o quel Magic Bus tirato su dal fratello meno famoso e meno bravo, Satoshi Dezaki.

Siccome c’è poca voglia di lacrimoni da coccodrillo o spunti analitici-col-senno-di-poi, di Osamu Dezaki lascio spazio a un greatest hits. Tutto, o quasi, quello che di lui abbiamo adorato. Con il rammarico di non poter più assistere ai suoi spleet screen, ai raggi di sole che invadevano lo schermo, ai personaggi dallo sguardo fiero che ne sapeva una più dello spettatore, alle sue strepitose collaborazioni con Akio Sugino (chara designer), Hirokata Takahashi (direttore della fotografia), Kentaro Haneda (musicista) e Shinichiro Kobayashi (art director). Un consesso di talento, genio e artigianalità del fare animazione che molti rimpiangeranno.

1
Il giorno in cui subentra a Tadao Nagahama nella direzione di Lady Oscar (e siamo nel 1980), facendo irritare i designer Shingo Araki e Michi Himeno ai quali richiede sguardi affilati dei personaggi, silhouette slanciate ed eleganti. Ne risente tutto, ma in meglio: l’animazione, la “recitazione” di ogni singolo protagonista (persino il poveraccio senza gamba che intona canzoni tristi sotto i ponti di Parigi) e la portata “storica” di un serial di culto.

2
L’oceano di lacrime che caratterizza Remì (1977), tratto assai fedelmente dal romanzo di Hector Malot. Piange l’orfanello separato dalla mamma, piange Padron Vitali che non riesce più a tenere in piedi la compagnia viaggiante e teme di non riuscire a proteggere Remi, piangono gli animaletti, piange il pubblico. Miyazaki lo avrebbe detestato: troppo melodramma. Tutte quelle lacrime occupano troppo spazio narrativo. E invece. La serie Tv è anche quella in cui per la prima volta lo spettatore vede scivolare i fondali sullo schermo, uno sull’altro per dare l’illusione della tridimensionalità. Un capolavoro che cancella il (buon) ricordo del film Senza famiglia prodotto da Toei sette anni prima. 

3

Il saltellante Jim de L’Isola del tesoro (1978), da Robert Louis Stevenson. Siccome Dezaki non si è fatto mancare incursioni letterarie da qui a Melville e a Murasaki Shikibu, quando ci mette mano lo fa alla grande. Il viaggio della speranza del giovanotto che sogna una vita diversa per sé e la madre mescola l’avventura al romanzo di formazione. Di più: il rapporto di amicizia e complicità tra Jim e Silver è un sublime strumento per passare all’età adulta. Strepitosa la sigla d’apertura su musica di Kentaro Haneda.

4

Tre anni da ricordare. 1979, il debutto cinematografico con Jenny la tennista che già aveva portato su piccolo schermo senza conoscere un’acca di shojo manga. Nello stesso anno Miyazaki faceva di Lupin III il principe azzurro de Il castello di Cagliostro. Grande periodo insomma per TMS, anche se mancavano gli incassi. Ma chissenefrega. Film così non li fanno più, eppure restano. Giusto per capirci, neanche Cobra (anno 1982) e Golgo 13 (1983) sono andati più in là di un alone cultuale. Dezaki però è formidabile nel trasformare la sci-fi di Buichi Terasawa e il gekiga di Takao Saito in capolavori visivi e supremi. 

5

Primi anni Novanta, arriva una serie di OAV che conquista l’Italia: Black Jack. Il medico in nero (e senza licenza) viene ripulito della modesta veste spettacolare che Tezuka gli aveva dato in Marine Express – L’espresso sottomarino (tv movie del ’78) e in poche altre comparsate. Si presenta come antieroe, salvatore di anime malandate dentro, con l’aiuto dell’insuperabile Pinoko. Indimenticabili gli episodi intitolati “La civetta di San Merida” e “Racconto di una notte di neve”.

di Mario A. Rumor

© 1993,2000 Tezuka Productions/Black Jack Committee All Right has reserved
© Asao Takamori • Tetsuya Chiba / Mushi Productions
© Riyoko Ikeda TMS All rights reserved. Produced by TMS Entertainment LTD

 
 
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