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Editoriale - settembre 2011

Lulů a caccia del Fiore dai sette colori

Questo “Fiore dai sette colori” a me sa tanto di Santo Graal. Il Codice da Vinci c’entra nulla, sia chiaro. Ma visto che l’agognato fiore tiene al guinzaglio ben due pretendenti al trono, una delle quali deve sicuramente possedere sangue blu in corpo altrimenti che le diamo a fare i poteri magici, e le conduce per mari e monti in un’inesauribile ricerca (mica la quête letteraria, solo pellegrinaggio turistico formato cartoon), giocare sulla pelle della famosa reliquia è più un rimpiattino. Un gioco tra noi che ha del prodigioso. Questo d’altronde era il termine prefissato che sottendeva il genere majokko negli anni in cui le maghette, terrestri o provenienti da altri pianeti, contendevano alle eroine più tradizionali (vedi Candy Candy) la supremazia tra il pubblico femminile. Prodigio a metà strada tra il fantasy e il fiabesco. Harry Potter ha insegnato molto tempo dopo che con una bacchetta in mano sono tutti simpatici. Ma oggi, dove la trovi un po’ di sana magia in animazione che non faccia rima con mocciose dalla permanente colorata e di suprema antipatia?

Dura la vita per le suddette maghette. O se ne stavano comodamente sedute in casa ad attendere gli eventi (che noia) o erano costrette a fare la valigia e andare in giro per il mondo. Lulù l’angelo dei fiori (Hana no Ko Runrun, 1979) doveva per forza. La protagonista Lulù vive con gli anziani nonni, passando pomeriggi a fare il maschiaccio, è una mezza orfana e quindi – come legge orfanesca esige – ha da girovagare, conoscere gente, fare cose (per dirla con un film di Moretti). Stanziale mai, semmai giusto quei ventidue minuti di un episodio televisivo. In cui però si prodiga per gli altri, interviene nella vita problematica delle persone aiutandole in mille situazioni. E mentre fa questo può pure cercare il leggendario Fiore dai sette colori, sicché fai due conti da integerrimo spettatore e già sai che esso sarà sfuggente quanto il Cosmopavone. Tocca aspettare il gran finale, giù al cinquantesimo episodio dell’anime, per tirare le somme. E mai parola fu più indovinata, se il prodigioso fiore è principalmente addizione di significati, simboli ed emozioni vissute o condivise lungo il tragitto.

Se vi recate sul sito di Toei Animation, scoprirete come le majokko sono sempre sul mercato, leggenda intramontabile nella storia degli anime. Due cose almeno le hanno ottenute: arginare il buon ricordo di un’eroina femminile indissolubile come Zaffiro; e incrementare una produzione che da Una sirenetta fra noi (1972) si è presto dileguata dalle celebrità delle fiabe per giocare in casa: ci sono stati infatti Mitsuteru Yokoyama e il suo shojo Sally la maga (Mahotsukai Sari, 1966), che era in bianco e nero ma poi ha conosciuto il colore; Lo specchio magico (Himitsu no Akkochan, 1969) di Fujio Akatsuka, passando per Chappy (Mahotsukai Chappy, 1972) con quei volti paciosi che piacevano tanto al regista Yugo Serikawa. Quasi tutte associate al colore rosso degli abiti, che proporre su piccolo schermo per gli animatori del periodo era un vero tormento (ne sa qualcosa il primo Lupin III). Siccome negli anni Settanta le eroine dello shojo si sentivano più donne, è ancora Toei Animation a mobilitarsi per loro: nel 1974 arriva Bia, la sfida della magia (Majokko Meguchan) e d’improvviso il pubblico di spettatrici scopre quanto glamour e vagamente sexy poteva apparire una maghetta. La serie animata, per di più, come in Lulù l’angelo dei fiori oppone alla sua protagonista una nemesi bella quanto lei (la turchina Noa). E pure lì era necessario tanto training terrestre per l’agognato trono della magia. Con Lalabel negli anni Ottanta la magia Toei è già più casalinga, meno sovversiva.

Altrove in rete scoprirete soprattutto una cosa che non ha a che fare con la magia ma con lo sfacciato merchandising dell’epoca (da noi, Lulù e le altre, devono aver fatto la fortuna della Polistil). Nei siti dei fan più sfegatati le parole valgono zero in confronto agli inestimabili goodies: virtuali bancali dove puoi esporre di tutto, dalle bambole (orride e per nulla somiglianti) ai portachiavi, dalle borsette alle raccolte di figurine, dalla spilla floreale di Lulù (che, passati gli anni, evidentemente ha esaurito il suo potere) al beauty case. Anche così Toei faceva un po’ di soldi: concedendo licenze per la mercificazione dei suoi personaggi più amati. Aveva cominciato Astro Boy a inizi carriera, figuriamoci se non potevano farlo le signorine della magia. Oggi del favoloso gruppo di maghette Toei sopravvive un mercatino dell’antiquariato insuperabile, immerso in un universo ancora più vasto. A portata di chiunque con apertura al mercato globale.

Lulù l’angelo dei fiori inizia durante un pomeriggio di gioco per la protagonista. Un cane e una gattina si aggirano in paese chiedendo di lei. Proprio così. Il cane di nome Dundù e la gatta Nanà chiedono di lei perché devono affidarle una missione cavalleresca per il bene del Regno dei fiori e del suo principe ereditario. Lulù dovrà lasciare la casa dei nonni e mettersi in cammino per cercare ‘sto benedetto Fiore dai sette colori. Una spilla a forma di fiore e una valigetta il solo corredo a disposizione, ma siccome la spilla è magica quando occorre saprà rifornire la ragazza degli abiti necessari. Majokko voleva dire anche capacità di trasformarsi da persona ordinaria in qualcosa di più e Lulù di volta in volta sarà reginetta di bellezza, contadina, scalatrice. Quello che volete. Qualsiasi identità la situazione richieda, purché l’ispirazione venga dai fiori. Alle calcagna, come detto, un’altra pretendente al trono: la signorina bruna di nome Togenicha, di maniere affatto educate, accompagnata dal tasso Yaboki, pure lui trasformista e quando lo vedrete con parruccone biondo in testa fermatevi lì. Con la sua coda incapace di starsene nascosta sul retro, è recidivo procacciatore di guai e risate. Dietro le quinte, visto-non-visto, c’è un belloccio di nome Celi (ma in originale è Serge), che spunta fuori in aiuto della protagonista e solo al traguardo della serie ne scopriremo la vera identità.

La serie animata della Toei è variazione sul tema. Sullo stesso piano di Bia, la sfida della magia ma con meno perfidia e voyeurismo. Il carattere limpido e solidale di Lulù porta impresso, dalla chioma bionda in giù, un voler essere d’aiuto agli altri che sa di pubblicità progresso. Non a caso le comparsate di Celi si ripropongono a fine puntata con regolare dono di semi offerti a chi ha conosciuto la ragazza e ne è stato aiutato. Ogni fiore piantato, sentiamo dire dal narratore dell’anime, ha un significato. Se poi si va al sodo con gli ultranemici, Togenicha più che maga pare una strega senza cuore, arrivista al punto giusto e profittatrice, laddove Noa tradiva un pizzico di complicità per la sua avversaria. Buona competizione che in Lulù si traduce in marcia estenuante per le città d’Europa (si arriva anche a Roma) a riportare qualcosa di buono agli umani (come farà Gigi, qualche anno più tardi, in Benvenuta Gigi) anziché inseguire a tutti i costi un’ossessione floreale. Alla fine, siamo davvero sicuri che Lulù accetterà di sedere sul trono?

Dote insuperabile di entrambi i serial la firma notevole che si portavano dentro. In Bia, la sfida della magia c’era un certo Yoshinori Kanada a dare una mano su design creato da Shingo Araki. Lulù l’angelo dei fiori aveva invece il tratto elegantissimo di Michi Himeno, partner di Araki, presente nel primissimo episodio della serie (il suo tocco è riconoscibile lontano un miglio: ammirate il bel faccino di Celi), per poi lasciare gran parte del lavoro nelle mani degli altri animatori: difficile non notarlo  nel corso degli episodi. E siccome i due animaletti avevano così tanta voglia di chiacchierare, alla micia Nanà viene affidato il compito di introdurre nella versione originale giapponese i titoli di ogni singolo episodio o di anticipare la trama del successivo. Un giorno, verrà il momento in cui i magici compagni delle streghette impareranno a starsene zitti per vivere una normale vita da animali. Chiedere a Jiji di Kiki – Consegne a domicilio lumi in proposito. Solo così il genere majokko ha forse trovato una sua maniera di restare per sempre con i piedi piantati su questa Terra.

Film © 1979 Toei Animation Co.,Ltd. © Shiro Jinbo/Toei Animation

Mario A. Rumor

 
 
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