News - novembre 2012
Da Honk Hong a Kenshiro, e ritorno
Attenta ai fenomeni animati del Sol Levante, la casa editrice Il Foglio Letterario ha pubblicato il volume Il filo rosso della violenza. Ken il guerriero e i suoi antenati di Hong Kong (pp. 161, euro 14).
Intervista all’autore Giorgio Mazzola.
Il libro inizia con un personale amarcord e una bella citazione dello scrittore Dino Buzzati, perfetta per il protagonista di quelle pagine. Quindi: Kenshiro, fa ancora paura?
Ho ancora in mente la vicenda dei sassi dal cavalcavia del 1996. Alcuni ragazzi si erano messi inspiegabilmente a lanciare sassi dal cavalcavia cercando di centrare le automobili che passavano nel tratto di autostrada sottostante, nei pressi di Tortona. Ci riuscirono e uccisero una donna. Facevo le medie ed erano gli ultimi anni in cui trasmettevano ancora Ken il guerriero in televisione. La vicenda mi aveva particolarmente colpito, anche perché io vengo da Torino, non troppo lontano dal luogo della tragedia. Ricordo bene che la stampa non ci mise niente a individuare il vero colpevole di quel gesto sconsiderato. Non l’alienazione tra i giovani che già allora iniziava a manifestarsi seriamente; non gli effetti fatali della noia che possono insinuarsi nelle menti delle persone con disturbi sociali evidenti. No, l’autentico colpevole era Ken il guerriero, il cartone animato super violento che quei ragazzi erano soliti guardare in televisione o sfogliare come manga. Nel 1996 erano quasi dieci anni che l’anime di Toyoo Ashida veniva trasmesso; e circa venti ne erano passati da quando i cartoni animati giapponesi arrivarono nel nostro paese. Eppure, anche in quella occasione, la vecchia diffidenza verso la Japan Animation riemerse come nuova, pronta a colpire come aveva fatto negli anni in cui arrivarono per la prima volta in Italia Mazinga e Goldrake. Oggi Ken il guerriero (ma il discorso si può estendere a tanti altri prodotti a lui affini) è confinato in territorio neutro, nei canali televisivi a pagamento. Potrebbe essere vista come una sorta di “legittimazione”, ma sotto questa immagine di “diffusione specializzata” temo si nasconda la volontà di diminuire l’accesso alla visione e riservarla solo agli appassionati (gli unici che pagherebbero per vedere questi cartoni animati). Non credo quindi che oggi si possa parlare di paura; piuttosto di una volontà di cavalcare il crescente disinteresse generale nei confronti di questi prodotti, che forse è anche peggio.
Quanto ha cambiato la percezione di anime e manga un personaggio come Ken?
In realtà non molto. Credo, anzi, che Ken il guerriero abbia alimentato, nei detrattori, la convinzione che in Giappone si producano solo cartoni animati violenti e/o a sfondo sessuale. Penso che la percezione degli anime in Italia sia cambiata leggermente in positivo solo con il fenomeno Miyazaki.
Cercare le “vere” origini di tale personaggio nel cinema wuxiapian, può essere interpretato come un ulteriore scudo a difesa della serie?
Perché no? La mia è stata un’operazione di accostamento al cinema dal vero; volevo richiamare anche l’attenzione degli appassionati di cinema in generale, sebbene i film di Chang Cheh siano b-movie dal pubblico settario. In un’epoca in cui questi film sono diventati dei veri e propri “cult” (grazie alle recenti incursioni nel genere da parte di Zhang Yimou o Tsui Hark, e soprattutto di Tarantino) questo tipo di cinema ha conosciuto una generale rivalutazione. Senza nascondermi dietro a un dito, posso dire tranquillamente che paragonare Ken il guerriero ai wuxiapian non può che giovare all’immagine di questo anime. Purtroppo in Italia il valore in sé e per sé dei cartoni animati giapponesi è ben chiaro solo ai cultori; per farlo capire a tutti gli altri è necessario utilizzare degli “appoggi”.
Quando ti sei reso conto che gli antenati di Kenshiro, metaforicamente, risiedevano in quel di Hong Kong?
È stato durante le lezioni di Storia del Cinema del Professor Dario Tomasi, all’Università di Torino. All’epoca ero studente di Lettere e Filosofia ed ero ormai sicuro che per la tesina triennale mi sarei occupato di letteratura americana. In quel corso analizzammo le figure più importanti (registi, attori, produttori) e le tappe fondamentali della storia del cinema di Hong Kong. Quando trattammo i wuxiapian, Chang Cheh e anche i Kung Fu movie, i collegamenti e le associazioni con Ken il guerriero iniziarono a moltiplicarsi, tanto che decisi in extremis di cambiare completamente l’argomento della dissertazione (e soprattutto la materia). Non avevo mai guardato i film di arti marziali con un occhio critico, soffermandomi, cioè, sulle tematiche e sulle tecniche di ripresa. Nacque così l’embrione di quello che sarebbe diventato il mio primo libro. Per questo motivo devo moltissimo al Professor Tomasi.
Cosa potrebbe ritrovare di suggestivo in quel cinema, un fan di anime e manga poco navigato in materia?
Senza dubbio i fan di manga e anime d’azione apprezzerebbero moltissimo le sequenze spettacolari e acrobatiche tipiche dei combattimenti nei wuxiapian. La centralità dei combattimenti è il tratto tipico di queste produzioni. Il caso di Chang Cheh poi, è particolare perché, alla spettacolarità delle acrobazie, questo regista sostituisce la pesantezza splatter della carne violata dalle lame, con sangue rosso alla Dario Argento dal forte impatto visivo. Quindi i fan di un certo tipo di shonen manga dalla violenza piuttosto esplicita (penso anche a Berserk) potrebbero trovarsi di fronte a situazioni familiari.
Per chiudere, ti chiedo un momento indimenticabile di Hokuto no Ken, manga o anime, fai tu, in cui la violenza è un ricordo lontano e lascia il posto a qualcosa d’altro.
Domanda impegnativa! Per andare sul sicuro, anche rischiando di essere poco originale (perché credo sia una delle più amate tra i fan), la sequenza dell’anime che ancora oggi mi colpisce, sia per l’intensità emotiva, sia per la geniale modalità con la quale viene rappresentata, è quella della morte di Juza “delle nuvole”, al termine del combattimento contro Raoul. La sequenza in cui il sangue del guerriero sul campo di battaglia si trasforma lentamente, espandendosi e tingendosi dei colori del cielo e delle nuvole, rimarrà per sempre, a mio parere, uno dei gioielli della storia del cinema d’animazione giapponese. Nel manga questa trasformazione non è presente e testimonia quindi la volontà da parte degli autori di sfruttare appieno le potenzialità del disegno animato e dei colori. Può essere inoltre considerata la perfetta immagine di questa incredibile saga, la quale al suo interno accosta continuamente momenti di pura violenza ad altri di lirismo assoluto e struggente.
Intervista: Mario A. Rumor
© Buronson, Tetsuo Hara/NSP 1984 © Toei Animation 1987 Released by Yamato Srl. per L’edizione italiana