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Editoriale - aprile 2014

A proposito di Cosette parte 2

Si possono ancora estorcere memorie dall’orfanella Cosette. Memorie riguardanti uno dei generi più belli che la televisione nipponica ha partorito. Del “sekai meisaku gekijoo” conosciamo una varietà di aspetti, quasi tutti derivati dai suoi personaggi. E il genere, inaspettatamente, è pure diventato la seconda metà del successo dell’anime boom degli anni Settanta in Giappone. Per assurgere a gloria imperitura da noi, grazie a una geniale definizione di Gianni Bono e Alfredo Castelli, quale dolce metà di un fenomeno culturale incentrato più che altro sugli “orfani e i robot”.
 
Ma a differenza da qui, dove i libri – se va storto – li usano per pratiche affatto letterarie (tenere ferma una porta, pareggiare le gambe di un letto, ammazzare le mosche… fate voi), in Giappone i romanzi “tratti dai capolavori della letteratura per l’infanzia” prima se li leggono, poi si guardano la serie alla tivù. A differenza da qui, anche l’uscita del film di montaggio  “Akage no An: Green Gables e no Michi” (in pratica i primi due giorni di Anne Shirley al Tetto Verde, in attesa che Marilla Cuthberg prenda una decisione), richiama l’attenzione con effetto a catena. Qualcuno ci ha fatto mostre espositive, qualche periodico s’è preso la briga di riferire vita, morte e miracoli della Signora Lucy Maud Montgomery, gli editori hanno ristampato i romanzi e gli appassionati hanno ragionato di quando erano ragazzini e leggevano quei romanzi, per poi ritrovarsi adulti, con altra mentalità, a riguardare “quel” film ponendosi altre domande rispetto a quando erano piccini. È lo spettacolo della vita.
 
Quindi, ripensando all’anno 2007 e alla messa in onda di “Re Mizeraburu: Shojo Kosetto” (volevamo dire: “Les Miserables – Il cuore di Cosette”), torna in mente il rinnovato fervore e tutta la curiosità della stampa nipponica sull’argomento. A parte la novità del design grafico, un po’ classico un po’ troppo moderno, due cose non si sono mai perse di vista circa il ritorno del “sekai meisaku gekijoo”. Una, gli ascolti. La seconda, la copertura di sponsor e marketing. Togliendo dalla conta “Heidi”, prodotto da Zuiyo, fa una certa impressione scoprire che “Il fedele Patrash”, dal romanzo dello scrittore inglese Ouida, rastrellava ascolti pari al 22,5 per cento. Chi era bambino nel 1975, ricorda ancora il tragico e commovente finale. Che non vi sveliamo. Oltre agli ascolti formidabili, diversi da serie a serie, il “sekai meisaku gekijoo” si intascava regolarmente numerosi premi grazie al “Cultural Affair’s Agency”, categoria programmi per bambini.
 
Solo a partire dai primi anni Novanta è saltato fuori il grattacapo degli ascolti tiepidini: con il suo 8,4 per cento “Remi la bambina senza famiglia” (1997) chiuse dietro di sé la porta al genere per un tempo molto lungo. In effetti ci vuole coraggio a cambiare le carte in tavola facendo del personaggio di Hector Malot una ragazzina. Soprattutto: ci vuole coraggio a sfidare un super-classico come il “Dolce Remi” di Osamu Dezaki. Ma forse neanche questo è l’importante. Nonostante il letargo, per dieci lunghissimi anni Nippon Animation ha continuato a ricevere mail e suppliche della “vecchia generazione” affinché il meisaku tornasse in carica. Nessuna sorpresa se pure la House Food Corp. fu invitata dalla rete Fuji Terebi a riprendere in carica le sponsorizzazioni delle serie letterarie per bambini (come fece nei primi anni Ottanta). Cambiava solo il mezzo: trasmissione via satellite, con numero crescente di utenti perché lì la programmazione è costruita a tavolino e sa dove-cosa-chi andare a cercare.
 
Le direttive Nippon su Cosette erano inoltre chiare e semplici: se il romanzo di Victor Hugo raccontava di Jean Valjean, l’anime avrebbe parlato invece di Cosette. Se nel romanzo originale si palesava l’influsso dell’ex carcerato sulla vita degli altri, “Shojo Cosette” avrebbe fatto la stessa cosa: trasformando la piccola orfanella in luminosa presenza. Benefica per tutti. Riedizione di libri compresa.
 
(Mario A. Rumor)

 
 
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