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Lupin III: Buon Compleanno

Maggio 2007
Mario A. Rumor 

Ha ormai quarant’anni quest’eroe che, partito dal fumetto, si è via via evoluto, perdendo l’iniziale aplomb del ladro gentilUomo, guadagnando in modernità e dando vita anche a un capolavoro dell’animazione, grazie all’incontro col grande Hayao Miyazaki

Ci sono due modi per far sentire vecchio un personaggio come Lupin III. Ricordargli che quarant’anni fa debutava come fumetto sulle pagine di “Manga Action” oppure, con sbiadita magnanimità, rammentargli l’esordio alla Tv giapponese circa trentacinque anni fa. Ma siccome i cartoon non invecchiano mai realmente (a meno che non ci pensi la mano del disegnatore), la fortunata creatura ideata da Monkey Punch come ibrido fra James Bond e i romanzi di Maurice Leblanc è ancora qui fra noi con la sua inesauribile voglia a soggiornare sullo schermo. Quasi un marchio di fabbrica, alla stregua di Doraemon che almeno una volta all’anno deve materializzarsi per il pubblico giapponese. Diventare un personaggio è costato parecchio a Lupin. Diciamo: una vita intera, piegata alle esigenze del business e di chi, nonostante la titubanza del disegnatore e la sua irrazionale avversione per l'animazione di casa, all’inizio ha preferito sposare la causa di un eroe più ruffiano e meno solidale con l'originale materia a fumetti. Di quest’ultima è sopravvissuto un pilot film del 1969 di Masaami Osumi e Gisaburo Sugii, autentica replica animata del personaggio di Punch, e almeno buona parte della prima serie Tv (tenuta a battesimo nel 1971 su Yomiuri Television) diratta inizialmente da Osumi, poi allontanato e sostituito dalla coppia non ancora famosa Isao Takahata e Hayao Miyazaki. L’altra buona parte della serie è uno straordinario mix di azione e ironia, ma l'aplomb del personaggio è quasi per intero andato a farsi benedire. Dove? Ancora nessuno lo sa. Forse aveva ragione Monkey Punch a non fidarsi. Solo i più accaniti fan sanno che esistono differenze abissali tra fumetto e serie animata; il grande pubblico invece va a intuito e qualcosa prende a muoversi nel suo animo. Tanto per cominciare Lupin è un personaggio mai visto prima. Con quella giacchetta verde che diventerà di culto (assieme a quella rossa di qualche anno più tardi) e la gang formata da un pistolero, un samurai irascibile e uno splendido esemplare di femmina, molti in Italia avranno pensato di poter crescere in tutta fretta senza dare nell’occhio.
Ci vogliono come minimo altri sei anni prima che in Giappone il nome Lupin sia sinonimo di straripante successo negli ascolti, ma intanto la macchina dell’animazione s’è mossa così alla svelta da snaturare la mitologia classica immaginata da Punch. Sempre con l’ispettore Zenigata alle calcagna, il nostro eroe cambia aspetto e diventa con Le nuove avventure di Lupin III (1977) il gigione che imperverserà per 155 episodi sulle reti televisive. Il momento d’oro per lui equivale a corteggiamento da parte del cinema animato e non (pioprio in questi mesi esce per Yamato Video il film live del 1974 Lupin III – La strana strategia psicocinetica), con picchi di esaltazione autoriale quando lo stesso Miyazaki appone due volte il suo nome con il film capolavoro II Castello di Cagliostro (1979) e con la regia di due episodi della serie che vengono solitamente intesi come solitaria deriva de luxe per via della trama ecologista e antimilitarista e la superlativa qualità delle animazioni. Diventare personaggio significa anche nutrirsi di ambizioni artistiche che, al cinema o negli speciali televisivi trasmessi annualmente su Nihon Tv dal 1989, servono a saggiare oggi come non mai le intemperanze di giovani che con Lupin sono cresciuti. Così il mondo del ladro gentilUomo finisce per fossilizzarsi se trame degne di James Bond (appunto) e giochi di prestigio per conquistare l’attenzione e nel frattempo i suoi lineamenti tradiscono l'entusiasmo di chi cerca disperatamente di immortalare l’eterna giovinezza del nostro eroe. Tratto adulto, design nostalgico: poco importa. La mitologia così com'è rinata per mezzo dell'animazione è impermeabile a contraccolpi e contappassi. Tranne uno: diventare personaggio amato da tutti significa, talvolta, cedere a veniali tentazioni, compresi spot a tutta birra per reclamizzare la Esso. Come a dire che anche Lupin è sulla via della perfetta beatificazione televisiva.

Monkey Punch, il disegnatore che amava James Bond

A Kazuhito Kato, noto in Hokkaido nel 1937, il nome d’arte Monkey Punch è sempre andato stretto. Lo adoravano i suoi editori e lo avrebbero amato  milioni di lettori giapponesi del tutto impreparati, alla fine degli anni ’60, all’avvento di un poco cordiale modo di disegnare fumetti. Così poco giapponese da sembrare frutto di una matita allenata a ben altri stili e di proprietà di un autore che forse non conosceva Osamu Tezuka e la scuola di pensiero “manga” in voga all’epoca. A decidere la sorte dell’imberbe fumettista concorre una sana passione per l’agente James Bond che tanto aiuterà  nella definizione del personaggio di Lupin. In pensione da qualche tempo, Punch è uno dei veterani del fumetto contemporaneo, amante delle belle donne (che non mancano mai nei suoi fumetti) e della tecnologia legata a computer e Internet. Se negli anni dell’esordio guardava con sospetto al mondo dell’animazione, nel 1996 viene coinvolto dallo studio TMS a girare egli stesso uno dei film della serie Lupin III, Dead or Alive, realizzato con grandi mezzi, tanta grinta e insospettate doti registiche.

Un capolavoro: Il castello di Cagliostro

Nella storia del cinema di Hayao Miyazaki è il film più defilato, quello che finisce associato per intero alla serialità da piccolo schermo. Eppure Lupin III – Il Castello di Cagliostro (1979, il dvd è Yamato Video), opera cinematografica d’esordio del regista Premio Oscar rappresenta due volte qualcosa di più che un solitario capolavoro nella sterminata filmografia dedicata al ladro Lupin. A bordo dell’autoreferenziale Fiat 500 (per passione di regista e capo animatore, Yasuo Otsuka), e con la classica giacca verde, sullo schermo passa una intrigante favola moderna con protagonista principe azzurro, graziosa principessina da salvare e cattivone che vive rintanato in una inespugnabile fortezza che ricorda il castello di Le Roi et l’Oiseau (1953) di Paul Grimault, artista enormemente amato da Miyazaki. Ma per non tradire la tradizione formativa di Toei Animation in cui è cresciuto quelle coordinate di spazio rimandano anche a Il Gatto con gli stivali (1969), altra pietra miliare nella carriera del Nostro. Il resto è tutta farina del suo sacco, compresa la miscela perfetta di azione e poesia che all’epoca avrebbe dovuto mettere sull’avviso il minuscolo drappello di fan del non ancora consacrato sovrano dell’animazione nipponica.

 

 
 
 
 
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