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E venne il giorno dei teen agers

Il manifesto (Martedì 4 agosto 1998)
Cristina Piccino

Tre storie di ragazzini ribelli: lo psicothrillermanga “Perfect Blue”, “Frost” del tedesco Keleman e “Os mutantes” di Villaverde

I festival non sono solo i film, sono soprattutto le persone... Lo diceva sempre Marco Melani, che di Taocinema è stato un'anima guida sin dall'inizio come ha ricordato al convegno sul montaggio Amos Gitai, e questa sua filosofia ha lasciato sul festival un segno importante. Ecco perché Taocinema è riuscita, unico «spazio» italiano - Venezia non lo ha fatto - a ricordare con una proiezione straordinaria ieri sera al Teatro Greco del suo ultimo film Le franc, un regista come Djbril Diop Mambety morto a Parigi una settimana fa, sguardo ribelle del cinema africano. Come è bello che negli anni questo festival solo di vetrina abbia conquistato un pubblico giovane, appassionato, disposto a dormire in sacco a pelo e a mangiare panini - i prezzi qui sono proibitivi, Ghezzi chiede un campeggio da anni, l'amministrazione locale ovvio risponde picche - per conoscere il cinema «invisibile». I ragazzini cinefili sono il segno di un successo vitale. Ieri però il personale del Palazzo dei congressi li voleva cacciare  «bivaccano», l'accusa - sgraditi i loro zaini, i capelli colorati di tendenza, sgradita la loro presenza...
Invece i teen ager in Giappone li amano, fino alla perversione rococò, fino al punto di acquistare via Internet mutandine usate di giovani studentesse... con tutto il coté tragico/erotico di una società a noi così vicina/così lontana e delle sue rappresentazioni. Parliamo di cartoon giapponesi dunque e di idoru - parola bellissima, parente involontaria del nostro «ti adoro» che indica l'idolo pop per adolescenti, nell'epoca della Rete. Di una idoru, ex cantante del trio Cham, della sua crisi di crescita, del suo nuovo e diffìcile rapporto con il cannibalismo dei vecchi fans e dei media, racconta Perfect Blue, il lungometraggio a cartoni di Satoshi Kon proiettato sabato nel teatro antico. Il regista, trentacinquenne, non è nuovo a imprese del genere: ha fatto parte della squadra di Katshushiro Otomo per la realizzazione di Akira e Rojin Z, due tentativi di emancipare i manga dalla serialità televisiva. Qui, complice una straordinaria storia (tratta da un romanzo Yoshikazu Takeuchi) mette in piedi uno psycho-thriller che ti incolla alla sedia. Chi vuole appropriarsi dell'identità di Mima Krigoe, chi vuole impedirle di continuare la sua carriera tra serial tv e softcore porno? Un fans pazzo di lei? Un serial killer che stermina malamente i suoi collaboratori più stretti? Il  suo doppio Intemet che la perseguita come un  perverso angioletto con gli occhioni da Sailor Moon e il gonnellino rosa? Storie di ruoli bloccati, comunque. Perversioni da crescita zero.  Grande fantasociologia.
Ma gli adolescenti so un po' una nota dominante nei film del festival, insieme all'amore, al corpo, alla sensualità insomma al bisogno diffuso di qualcosa che rappresenti se stessi nel mondo. Qualcosa di personale, non solo teoria  ma segno tangibile, vissuto in prima persona. Adolescenti ad esempio, sono anche i protagonisti del film di Teresa Villaverde (concorso), Os mutantes («I mutanti»), «quelli che non accettano le cose come stanno: fanno parte della gente che non si rassegna mai, che è sempre in cerca di qualcosa» li descrive la regista. Chi sono «i mutanti»? Ragazzi che vivono in case per minori, soli, in rotta con la famiglia, che hanno soltanto se stessi ma che per questo non vogliono rimanere prigionieri della loro condizione. Irrequieti, davvero. E compiici tra loro in questa infinita ricerca. Come Andreia - Ana Moreina, l'unica attrice professionista, gli altri intepretano un po' se stessi - che la madre non vuole, che aspetta un bambino ma non ci pensa. Era questo o no il suo desiderio, poco importa. Ora è là, deve farci i conti. Oppure Pedro, Ricardo, Zezito, tutti gli altri. Entrano e escono da quella «casa», vagano nella notte, sono fragili, esposti, chiunque può maltrattarli, anche ucciderli. Lo sanno, eppure vivono con intensità... Terzo film di una cineasta dalla sensibilità irrequeita come i personaggi che racconta, Os mutantes ne conferma la grazia, lo sguardo acuto, la dolcezza nel narrare l'ineluttabile. Non c'è cronaca nel film, eppure c'è molta realtà, densa, dolorosa, disperatamente romantica persino.
Un ragazzino è lo sguardo narrante anche in Frost, «Gelo», secondo film di Fred Keleman che «minaccia» di diventare una rivelazione nel cinema tedesco dei prossimi anni per le sue invenzioni di racconto. La storia. Marianne (Anna Schmidt) la notte di Natale fugge col figlio Mischa (Paul Blumberg) stanca delle violenze di suo marito. La mèta è il paesino dove è nata, nell'ex-Germania dell'est. Ma questo luogo come tanti altri in questa parte del paese non esiste più. Inizia così un viaggio lentissimo nel paesaggio desolato e ghiacciato che pian piano diventa anche un paesaggio mentale, la memoria di una Gemmala costretta a scomparire. Keleman lavora sui tempi sospesi, confonde talvolta i piani del racconto. La forma è quasi del documentario povero, immediato (il film è girato in 16 millimetri), dell'esplorazione ravvicinata di una Realtà che pian piano rimanda a altro, coinvolge una dimensione sociale, di vissuto che supera il tempo, la contemporaneità. E' una Germania lontana da banche-potenza-marco solido quella di Keleman, piuttosto povera, isolata, bigotta.
Fatta di gente ostile, locali di terz'ordine. Razzista mentre il «sud» del mondo è già lì.
Marianne sarà costretta per campare a fare la prostituta, il figlio geloso chiama il padre. Come finirà? Bene no di certo, e però Micha sarà libero, anche lui «mutante» in un paese in cui la «mutazione» - come la memoria – è qualcosa di negato.

 
 
 
 
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